Grande storia di integrazione lo scorso ottobre, all’auditorium “Ermanno Olmi” della Provincia di Bergamo, dove Yvonne Fracassetti Brondino ha presentato “Partire”, il libro con cui ha scandagliato la storia della sua famiglia emigrata in Francia. Un racconto discreto di una sorella e di un fratello uniti da ricordi rievocati e sentimenti assopiti, ripercorso con precisione dalla prof.ssa Raoudha Guemara, docente di Storia all’Università di Tunisi, che ha rammentato le vicende dei genitori di Yvonne, Guido e Laura, dei loro figli e dei modi diversi di vivere l’integrazione in un altro Paese, dopo aver lasciato il paese di Botta di Sedrina, in Val Brembana.
Yvonne Fracassetti Brondino
“Sono felicissima di essere qui presente, anche in rappresentanza di tutti quelli che sono dovuti emigrare, che sono le “vittime della Storia”, i “muti della Storia”. La presenza al convegno è stata possibile grazie a tante persone che si sono date da fare. Ho iniziato questo libro come un album di famiglia, ma poi è diventato qualcosa d’altro; qualcosa di prezioso per me, perché ho capito come io avevo portato avanti due identità: quella italiana scoperta tardi e quella francese in cui sono cresciuta. Ho fatto i conti con la mia vita e mi sono resa conto che il mio destino è quello di tutti coloro che hanno dovuto lasciare la loro terra. Non è solo una storia di emigrazione, ma anche di immigrazione. Ci sono 3 milioni e mezzo di figli di italiani in Francia: cosa sentono oggi? Io racconto tre casi nel libro, il mio e quello dei miei due fratelli. È una storia attuale, perché la storia è fatta di emigrazioni, che non finiranno mai”.
Raoudha Guemara
“Seguiamo la storia di questa famiglia di 5 elementi, a partire dal giovanissimo Guido e poi i suoi figli, e i loro modi diversi di vivere l’integrazione. Guido scende dalle montagne bergamasche per seguire i compaesani e seguire un percorso di incertezze, con un sentire ben preciso: dover aiutare la famiglia. Si ritrova in un mondo virile, senza il calore del focolare domestico. Solo avventura e rudezza, e sepoltura nell’anima dei suoi sogni, dei sapori e profumi della sua terra, delle sue montagne bergamasche, del verde delle vallate. In un altro mondo, con un’altra lingua, altra civiltà, altri panorami.
La prima storia comincia con una rottura con l’Italia. I mattoni diventeranno il suo mestiere: muratore, poi imprenditore. Un uomo di sani principi, silenzioso, pieno di attenzioni con famiglia e amici. Si era imposto di vivere in Francia e ricreare un nucleo francese. Non ha sepolto, ma ha solo taciuto la sua appartenenza per riuscire a costruire tutto su basi nuove. Un uomo silenzioso, ma pieno di attenzioni, voleva la sua famiglia francese, ma non è riuscito a nascondere la sua italianità. Anche mamma Laura trasmetterà ai figli la sua italianità, quella delle regole di vita trasmesse involontariamente. Con i tre figli, nati francesi, abbiamo il primo taglio netto rispetto ai genitori: i tre figli sono i primi frutti raccolti in “terra promessa”. Viene rievocata una scena particolare che si svolge sul binario di una stazione durante la Seconda Guerra Mondiale, siamo nel 1939: a una giovane donna viene impedito di raggiungere il marito che sosta dall’altra parte, ma la donna sfida l’intervento militare e spinge il bambino piccolo a correre ad abbracciare il padre dall’altra parte. Due adulti responsabili a cui è stato vietato di ricongiungersi per la legge anti-immigrazione. Il bambino corre dal padre e con questo gesto naturale afferma il suo ius sanguinis. Si è attribuito la sua cittadinanza francese.
Yvonne sentirà il bisogno di fare l’esperienza della “famiglia allargata”: suo fratello è stato l’unico a vivere una parentesi italiana, breve ma importante. Ma proprio perché cittadino francese dovrà partire per la guerra: capirà a sue spese cosa voglia dire questo altro tassello verso l’integrazione degli immigrati.
Yvonne porta il nome francese e nasce cittadina francese, viene mandata alla scuola francese e scopre per caso la sua diversità. Complice un episodio dell’amica intima che le fa aprire gli occhi su un dilemma che avrebbe dovuto affrontare: suo padre Guido è stato “fortunato”, non “meritevole”. Capisce la differenza tra uguaglianza e assimilazione, tra paese idealizzato e reale. Non è vero che l’immigrato taglia. Piuttosto mette a tacere. Conserva in uno scrigno intimo. E poi c’è il più coccolato della famiglia, Alain: la scoperta dell’Italia gli ha fatto trovare il carattere del buon vivere italiano. Ha sfondato in campo lavorativo.
“Partire” non è un romanzo o un diario, ma appartiene a un genere molto ricercato adesso: il genere delle memorie. Si richiama l’inconscio, proiettando i contenuti in una dimensione psichica profonda. Occorre buttare via le maschere e rovistare nell’intimo per riuscire a riconquistare la propria storia. È una scrittura affettiva, talvolta eccessivamente pudica. Ma rientra nell’ordine del collettivo perché traduce un insieme di storie di tanti altri immigrati. È un fenomeno ancestrale di storia umana”.
Pasquale Gandolfi, presidente della Provincia di Bergamo
“Sono contento che la Provincia possa ospitare questo evento dell’EBM, promotrice di diverse iniziative che intendono fare memoria dei nostri bergamaschi all’estero. Da qualche anno ci si era dati l’impegno di individuare una sede idonea all’ente, individuata in Villa Finazzi. E questa è l’occasione per ricordare quanto sia importante avere una storia alle spalle”.
Carlo Personeni, presidente dell’EBM
“Un giorno mi sono trovato questo libro sulla scrivania, l’ho letto e mi ci sono ritrovato. Ho trascorso diciassette anni come emigrante in Svizzera, nell’area francese, più o meno nello stesso periodo in cui l’autrice ritrova la sua italianità. E mi sono impegnato a portare la scrittrice a Bergamo, perché ritenevo fosse interessante ricordare queste storie. Storie di emigranti bergamaschi, che l’EBM, dal 10 luglio 1967, anno della sua costituzione, assiste, aiuta e sostiene.
È importante mantenere un collegamento tra Bergamo e gli emigranti all’estero, aiutarli sia nella nuova terra di residenza sia se rientrano in Bergamasca, nei paesi di origine. Prima l’EBM si occupava soprattutto dei rapporti fra gli emigranti, dei loro diritti, dei problemi di tipo burocratico, sociale e fiscale. Oggi, invece, l’emigrazione è un po’ diversa: si hanno contatti immediati con i famigliari, grazie alla tecnologia e a internet. Se prima le lettere si chiudevano con la frase “Hai notizie del paese?”, ora basta un click e si è collegati. Resta, però, la nostalgia, come pure i problemi burocratici. Adesso sono moltissimi i giovani che emigrano (vedi Erasmus) e i nostri circoli si stanno adeguando. Il problema è comunicare di più dal punto di vista culturale, cercando di mantenere viva e promuovere la “bergamaschità”. D’altra parte, i nostri emigranti sono i migliori ambasciatori di Bergamo. Abbiamo un patrimonio immenso, culturale, artistico, storico, enogastronomico… dobbiamo comunicarlo, anche attraverso gli emigranti. Il 2023 vedrà Bergamo e Brescia “Capitali della Cultura”, una grande occasione per far conoscere Bergamo. Secondo i dati, sono 80 milioni i cosiddetti “italici” nel mondo, quindi chissà quanti bergamaschi. L’idea è quella di coltivare il “turismo delle radici”: far scoprire o riscoprire le proprie radici”
Preziosi, in chiusura di convegno, gli interventi storico-antropologici di Antonio Carminati, direttore del Centro Studi Valle Imagna, e Tarcisio Bottani, presidente del Centro Storico Culturale Valle Brembana “Felice Riceputi”. Come pure quelli di Mauro Rota, coordinatore dei Circoli dell’EBM e del presidente onorario dell’EBM Santo Locatelli.