RIDARE CITTADINANZA A CHI L’HA PERSA PER L’ESPATRIO

Sul tema della cittadinanza, la deputata di Fi Fucsia Nissoli Fitzgerald (circoscrizione Estero-ripartizione Nord e Centro America) è intervenuta nei giorni scorsi nell’Aula di Montecitorio per esprimendo la sua delusione per l’esclusione del riacquisto della cittadinanza dall’esame dello ius scholae”. Perché non permettere anche agli emigranti italiani di riacquistare la cittadinanza italiana visto che sono già italiani di fatto?

Ecco, il suo intervento in aula:

Cari colleghi,

mi perdonerete se oggi, per trattare un tema e me caro e che affronto da molto tempo, inizierò questo mio intervento in un modo un po’ inusuale. Inizio con una domanda: avete idea della tristezza che provoca un abbandono?  Quel velo che rimane degli occhi delle persone afflitte da questo problema e che va oltre ad uno sguardo, spesso forzosamente sorridente? Una tristezza profonda che, con una adeguata sensibilità, si nota in fondo agli occhi, oltre lo sguardo e che porta dritti al cuore.Certamente, vi sono vari tipi di abbandono, più o meno gravi, più o meno coinvolgenti, ma di qualunque tipo si tratti, generano un sentimento difficile da dimenticare. Domando: vi piacerebbe essere abbandonati, talvolta dagli amici, nel momento del bisogno, o ancora dagli affetti o, persino, dal vostro Paese, quello che vi ha dato i natali e per il quale si prova, innegabilmente, un senso di appartenenza profondo e dal quale si nutrono legittime aspettative? Ebbene, credetemi, essere abbandonati dal proprio Paese può essere una esperienza che ti segna.  Certamente, puoi andare oltre, ma rimarrai, per sempre, con l’idea, la sensazione ed il peso di essere stato abbandonato.

Entro nel merito: il testo unificato della legge ius scholae cita: “Il minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e che, ai sensi della normativa vigente, abbia frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale, acquista la cittadinanza italiana”. Che belle parole. Si evince l’idea di un mondo dove i confini non esistono e si vuole garantire, anche a giovani stranieri, il diritto a acquisire una cittadinanza. Un pensiero positivo … non limitativo. Invece, colleghi, non è così. Nessuna volontà di riconoscere un diritto perché, altrimenti, si applicherebbe una regola basilare: uguali – diritti – per TUTTI.

Al contrario, però, quando ho presentato un emendamento, che non è neppure stato discusso in commissione e nel quale si chiedeva di permettere, a chi è nato in Italia ed ha perso la cittadinanza in seguito ad espatrio, di riacquistarla con una semplice richiesta amministrativa presso il competente consolato di residenza estera, ho visto cadere nel vuoto una richiesta di garantire a TUTTI il medesimo diritto e la cosa ancor più incredibile è che non ho capito perché. Mi è stato detto che non si può allargare l’orizzonte dello ius scholae a chi vive all’estero.

Ma stiamo discriminando chi ha origini italiane? Ma ha senso? Il tema non è se ha senso o meno riconoscere la cittadinanza a cittadini stranieri sulla base della loro persistenza nel territorio, senza in alcun modo considerare l’educazione e gli esempi che questi giovani ricevono, quotidianamente, nella famiglia. Non si tratta di verificare se tale diritto si debba legare all’effettiva accettazione di quel modello culturale, liberale, europeista e democratico che abbiamo ottenuto con guerre e sacrifici dei nostri padri. Non si tratta neanche di comprendere se questi futuri cittadini, cui vogliamo garantire diritti, hanno una visione chiara dei diritti che devono rispettare all’atto di essere cittadini italiani, primi fra tutti il rispetto per le donne, ma solo per citarne uno. Diamo per scontato che qualche anno di scuola garantisca una visione ed una cultura corretti per integrarsi in una società che, come dicevo, ha conquistato questi diritti anche a costo della vita. Però, colleghi, io sto semplicemente chiedendo pari diritti in favore di persone che sono NATE in Italia, hanno studiato in Italia, taluni hanno persino fatto il servizio militare ed hanno lavorato, pagando le tasse, nel nostro Paese, in Italia. Hanno, quindi, le medesime caratteristiche richieste ai minori stranieri.

L’unica discriminante (ed uso questo termine non a caso) è che si tratta di nostri connazionali, di cittadini italiani, come me, come voi!  Di persone educate e cresciute nella stessa visione sociale e culturale di cui parlavo poc’anzi; patrimonio di ciascuno di noi, di ciascuno di voi. Lo sarebbero anche per la legge per quanto, quando vi è stata la possibilità di riacquistare la cittadinanza, dopo il varo della legge Bossi-Fini, non erano informati e non sono venuti a conoscenza di questa possibilità, neanche in occasione delle proroghe accordate prima del 2000. E, francamente, vi domando: ci siamo accertati di comunicare debitamente questa opportunità all’estero ed alle nostre comunità? Ci definiamo uno Stato di Diritto e pare che, anche con questa legge, lo vogliamo dimostrare. Vogliamo difendere i diritti dei cittadini ucraini, cosa, per inciso, che mi vede assolutamente concorde. Ho conosciuto imprenditori che, durante la pausa estiva, vanno in africa, a lavorare, per costruire scuole, pozzi ed infrastrutture, per aiutare chi ne ha bisogno. Non possiamo contare i sacerdoti e le suore uccise in vari continenti per aiutare i più deboli … e potrei continuare anche considerando la società civile, per ore elencando la nostra visione di accoglienza. Una visione storica ed io, che sono in parte siciliana, ne ho contezza nelle architetture di questa straordinaria terra che ha “accettato” ed “inglobato” culture e persone che vanno dall’estremo nord dell’Europa all’Africa. Tutto quanto vi sto esponendo, sinteticamente e con meri esempi, è parte della cultura e della conoscenza di cittadini come voi … in particolare, come me, che vedono in questo rifiuto a considerarli cittadini di diritto, un abbandono. Non un abbandono dalla burocrazia, ma dalle istituzioni, dalla politica, da tutti noi e dai colleghi in aula. Non serve che vi dica che chi assiste a tutto questo, inerme, si sente abbandonato dal proprio Paese. La mia battaglia, colleghi, è in parte egoistica, ma non perché sono una di loro, ma perché non voglio in alcun modo sentirmi il peso e la responsabilità di questo abbandono. Potrei parlarvi di quanto sia giusto, e l’ho fatto, ma anche di quanto sia opportuno, nell’interesse del Paese, di quanto sia coerente con la nostra storia e cultura o, più semplicemente, di come sia alla base della nostra cultura cattolica.  Però la vera questione è un altra. Volete davvero essere responsabili di un atto di abbandono verso una collettività di nostri connazionali? Credo e spero che sarà la vostra sensibilità a guidarvi nella risposta perché qui, oggi, non parliamo di numeri, ma di persone. Di nostri connazionali, di nostri parenti. Spero che il buon senso e la ragionevolezza prendano il sopravvento perché siamo in un momento molto delicato, questi sono giorni tristi per tutti, servono coesione e solidarietà, saggezza e responsabilità, siamo tutti italiani e come tali dobbiamo rispettare anche chi ha dovuto lasciare la nostra patria per necessità ma è rimasto italiano nel cuore, nella quotidianità, ma le traversie della vita, incastrate con norme non sempre conosciute, li ha portati a non poter essere cittadini secondo la legge.

È arrivato il momento che la legge e la realtà tornino a coincidere!