Colline sinuose, favolosi vigneti ed oliveti, terrazzamenti, borghi antichi, castelli e ville medievali, casali isolati, viali di cipressi: questo è il fantastico paesaggio di Scanzorosciate, un anfiteatro collinare adagiato alla sinistra del fiume Serio, ormai allo sbocco nella pianura, caratterizzato da una realtà policentrica, tanti sono i nuclei abitati che la compongono: Scanzo, la sede municipale, delimitato ad ovest dalla roggia Borgognona; quindi, Rosciate, che si trova più ad est; poi, Negrone, Tribulina e Gavarno, che punteggiano la fascia collinare che si allunga ad oriente, famosa per la bellezza dei luoghi, ma anche per l’altissima qualità della produzione enologica.
Un paese che vale un’escursione, per scoprire un ambiente gradevole, dai toni squisitamente collinari, uno dei tesori urbani dell’hinterland di Bergamo. Fiore all’occhiello, innanzitutto, è la sua posizione. Il paese, infatti, si apre in un anfiteatro collinare di rara bellezza: da una parte la pianura, quale platea naturale; dall’altra i contrafforti rocciosi del monte Misma, che anticipa l’asta del torrente Cherio e della Val Cavallina; e, ai margini, il fiume Serio che marca l’entrata in un territorio collinare di grande effetto paesaggistico. Qui, in un groviglio di dorsali moreniche che costituiscono le cosiddette “colline orientali” di Bergamo, si apre un vero e proprio angolo di Toscana nella provincia bergamasca: un insieme di dossi e conche più o meno ampie, che con la loro rigogliosa natura e le pregiate colture vinicole rappresentano un “unicum” veramente suggestivo e dalle valenze romantiche. Un “polmone verde” di grande spessore naturalistico, fra piccole dorsali e vallette, fra brevi strappi e lunghe discese, fra cascinali e villette, che hanno consentito a molti “cittadini” di abbandonare il vicino capoluogo, per immergersi nella quiete di questi posti silenziosi e ben assolati.
Uno scenario fantastico per Scanzorosciate, la cui fortuna è legata ai lunghi filari di vigne e ai suoi terrazzamenti, che regalano ai cultori di Bacco un “nostrano” dall’abboccato gradevole e all’altezza dei più fini cultori enologici. Ma è soprattutto il “regno del moscato”, dove si produce il famoso moscato rosso, il più importante vino da meditazione della Bergamasca, quello che un tempo il grande Napoleone Bonaparte chiamava “moscatello”. Si tratta di uva particolare, chiamata “merera”, che cresce soltanto in un fazzoletto di terreno, tutto rivolto a sud, duro, calcareo, ma ricco di calce. Questo nobile vitigno è unico e non ha mai voluto allargare il suo feudo. La sua produzione limitata lo ha reso famoso in tutta Italia e nel mondo.
Ad esaltare questa tipicità vitivinicola, ma anche per promuovere e valorizzare le bellezze turistiche del paese, c’è l’associazione “Strada del moscato e dei sapori scanzesi”, una specie di Pro Loco, che vede la partecipazione anche del Comune di Scanzorosciate.
Ma le famose “colline di Scanzo” non promuovono soltanto la viticoltura, ma l’agricoltura in generale. Merito dell’opera dell’uomo, che qui ha prodotto quei magnifici muretti a secco, quella fitta trama di strade minori, quelle chiesette e “tribuline” che si trovano un po’ in tutto il territorio. Un paesaggio agreste, bucolico, che i proprietari terrieri hanno reso ancor più affascinante, costruendovi fabbricati agricoli e residenziali, quali ville e palazzi di campagna, di elevato gusto architettonico, di raffinata eleganza, ammirati dai cultori dell’arte. E negli ultimi anni, proprio sulla collina, sono sorte numerose aziende agrituristiche, che puntano a richiamare i gitanti domenicali all’assaggio dei prodotti tipici bergamaschi.
Ma Scanzorosciate è anche patrimonio artistico e architettonico, che rimanda anche a epoche lontane, per esempio romane. Scanzo, infatti, fa derivare il suo nome dal gentilizio latino “Scantius”, diventato poi “Scanze”. Patrizia anche l’origine di Rosciate, anch’esso di origine romana: si suppone che provenga da “Roscius”, ossia dal nome di una gens romana, di cui è rimasto celebre soprattutto “Quintus Roscius”, di Lavinio, famoso attore dei suoi tempi e amico intimo di Cicerone.
La presenza in terra bergamasca di famiglie nobiliari romane, ricche e colte, è spiegabile con il desiderio, vivo anche allora, di ritemprarsi, nella quiete delle colline, dai fasti e dalla mondanità di Roma, anche se non venivano risparmiate attività di chiara matrice contadina, appunto rilassanti, quali la coltivazione della vite e la produzione del vino.
Anche nel Medioevo, però, i nuclei che oggi vi si riferiscono erano al centro degli interessi storici: fortificazioni e castelli erano presenti sia a Scanzo che a Rosciate, a testimonianza delle funzioni militari dei due centri, situati in una posizione strategica, a guardia della città di Bergamo, nella sua porzione orientale.
Qualificante la storia di Scanzorosciate anche sotto la dominazione della Repubblica Serenissima di Venezia, che significò un lungo periodo di pace e di prosperità. E’ in questa fase che i signorotti bergamaschi, le ricche famiglie cittadine, scoprirono le bellezze naturali delle colline di Scanzo, costruendovi dimore gentilizie, case di campagna, ville signorili. Anzi, fra il ‘600 e il ‘700 vi fu una vera e propria gara per accaparrarsi le terre migliori, in mezzo ai vigneti. Fra le tante, villa Poli-Vertova, col caratteristico impianto ad U; quella natale di Alberico da Rosciate, affrescata fra il 1712 e il 1716 dal Cifrondi, ma purtroppo rimaneggiata nel secolo scorso; villa Brena, villa Colleoni, villa Brentani. La meglio conservata è certamente villa Vitalba-Masciadri, preceduta da un lungo viale d’ingresso, dove corrono in doppia fila altissimi cipressi. In cima, piante ornamentali e un bellissimo giardino all’italiana.
Grande interesse anche l’architettura religiosa, con ben cinque chiese parrocchiali: San Pietro Apostolo di Scanzo, S.Maria Assunta di Rosciate, San Pantaleone di Negrone, San Giovanni nei boschi (Tribulina) e SS. Trinità di Gavarno Vescovado.
Cinque parrocchie per cinque chiese, tutte interessanti sotto l’aspetto culturale ed artistico, tanto da essere meta di gite domenicali “fuori porta”. A Scanzo, per esempio, la vecchia chiesa parrocchiale custodisce affreschi secenteschi attribuiti a Giuseppe e Vincenzo Angelo Orelli, una statua lignea del Fantoni e una bella pala del Talpino. Nella nuova parrocchiale, invece, costruita negli anni Trenta su progetto dell’ing. Dante Fornoni, sono presenti due dipinti cinquecenteschi: uno attribuito alla scuola di Palma il Vecchio, l’altro a Francesco Zucco. Nella chiesa di Rosciate, invece, risalente all’800, si conservano tre tele del Cifrondi.
Maggior interesse riveste la piccola chiesa di San Pantaleone, nella frazione di Negrone, databile in parte al ‘200 e in parte al ‘400. L’esterno è caratterizzato da un pittoresco portico e da una severa torre campanaria, sulla cui base è appoggiata una meridiana. L’interno, invece, presenta un’abside duecentesca, affrescata con i temi tipici dell’iconografia medievale. Notevoli i dipinti di Francesco Zucco e del Talpino, come pure sei tele seicentesche ispirate ai miracoli di San Pantaleone e dipinte da ignoto.